Quanti baci alla stazione,
quante lacrime e quanto caos. Non è il mio posto, non sono serena, mi sento in bilico fra il trasporto per quegli abbracci che sanno d’amore e l’odore di ferraglia delle rotaie.
La corrente fra un binario e l’altro infreddolisce le mie ossa minute e il suono delle rotelle delle valigie mi rimbomba in testa, la velocità dei movimenti esterni infastidisce la mia calma apparente e allora l’unica cosa da fare rimane affrettarsi verso il mio convoglio.
Mi incammino col mio valigino carico solo dello stretto necessario, cercando di non farmi acciaccare dalla gente ed ecco che lo vedo lì, brutto, un po’ scassato, arrugginito e immagino puzzolente,
il treno che mi aspetta.
Chiedo al controllore se sia quello il mio, mostrandogli un codice sul telefono che mi fa rimpiangere il vecchio biglietto che poi avrei conservato nella scatola vuota dei gentilini per il resto della mia vita è, si, è proprio quello. Carrozza 8, in coda chiaro. Salgo alla ricerca del mio posto tentando di non esser goffa, cercando di non far cadere gli occhiali, il telefono, l’acqua che, tengo in mano perché sono una maniaca del controllo e finalmente eccolo.
Posto 8, non male come numero, pare che simboleggi l’infinito e tutta quella roba che la gente si tatua addosso, non che io sia una che si mette a dare un valore ai numeri eh, ma in quella situazione mi pareva doveroso nei miei confronti trovare un senso al mio posto. Mi siedo chiedendo scusa, non per qualcosa, ma perché io scusa la chiedo a prescindere se c’è una persona accanto a me e ho la minima, vaga e remota idea di potergli recare fastidio. Dopo aver sistemato le robine, il signore di cui sopra inizia a parlarmi come continuando un discorso già iniziato.
Mi parla, l’ascolto e mi piace sentire il suono delle parole che escono dalle sue labbra stanche e che incespicano nella barba grigiastra, mi piace scoprire dove lo porterà quel treno così brutto ma incredibilmente tanto ricco di cose belle. Le sue sono parole sapienti a cui ispirarsi, parole di chi vive, di chi ha il cuore aperto e la mente che vola. Speravo che la sua fermata fosse più lontana.
Mi mancherai. Grazie vecchio, perché adesso il mio treno è meno claustrofobico e ha le ali di chi sa sognare.