Spesso le cose si trasformano in corsa e la strada che avevi scelto prende un’altra direzione. Puoi cambiare punto di vista vedendo un film, camminando per la strada, ascoltando una musica, può succedere in mille modi. A me capita parlando con le persone, soprattutto con quelle che mi stimolano la mente, che invertono il senso del mio pensiero facendomi così crescere. Voi direte, ma questo non doveva essere il racconto dei tuoi giorni parigini? Ora arrivo al punto. Giorni fa, ero a letto e stavo sorseggiando la mia solita tisana al finocchio quando ad un certo punto mi scrive un’amica, una di quelle persone di cui parlavo poco fa, dicendomi:” Raccontami di Parigi, fammi innamorare” ed e’ da qui che voglio partire, dalle parole che le mie dita hanno digitato in quella sera diventata speciale grazie ai ricordi che la mia mente ha ri-vissuto.
“Con Parigi è stato un amore lento, come quelli più profondi che ti entrano nelle vene, un amore nato da una delusione nata a sua volta da un’aspettativa troppo grande da contenere in un unico cuore. È la città che sogno da sempre, che ha segnato tante tappe dalla mia vita, seppur da lontano, un luogo che ha visto nascere il mio amore con Dino, quando erano lontani e pericolosi i tempi delle parole e quelli degli sguardi di nascosto erano il contatto più facile da avere. Quando lui di ritorno dalla Ville Lumière mi portò un piccolo souvenir di plastica violacea, niente di che forse, ma per me era tutto. Lo guardavo quando intorno a me c’era la vita che non volevo e finalmente mi faceva respirare la libertà, di amare, di sognare. Sono passati sette anni da quel giorno e finalmente ci siamo abbracciati sotto la neve nelle vie di Montmatre, fra i pittori squattrinati, gli equilibristi , le attrici scollacciate, e, dopo il primo giorno passato a cercare qualcosa che mi facesse emozionare, quello che ho trovato è stato più bello di quanto potessi sognare. Proprio lì abbiamo comperato quel souvenir, uguale a quello che dovetti nascondere e che andò perduto, ma stavolta, insieme, sotto le lucine dei mercatini delle pulci ovattati dalla neve.”
Credo che queste parole potrebbero essere l’inizio e la fine del mio racconto ma non sarà cosi e, se vorrete andare avanti con la lettura, vi presterò i miei occhi per farvi vedere le cose come le ho viste io. Motore, ciak, azione.
Parigi, est, giorno 1.
Dopo essere atterrati, abbiamo deciso di prendere la metropolitana verso Saint – Lazare, giusto per avvicinarci al nostro hotel. La metro, che strano! Non la prendo mai nella mia città, perché in realtà non la amo particolarmente eppure, per me, rimane una fonte inesauribile di ispirazione, un luogo dove poter osservare gli occhi degli altri cullati dal dondolio dei vagoni che si trascinano nei cunicoli sotterranei. Ed è cosi che mi sono seduta sulla seggiolina vicino la porta di uscita, giusto per mantenere una sottospecie di controllo, Dino accanto a me con la sua mano appoggiata dolcemente sulla mia gamba smaniosa, di fronte sulla sinistra una signora di mezza eta’ con l’aria burbera teneva distrattamente la mano del figlio che avrà avuto al massimo 4 anni e , in mezzo al vagone, una bimba col visetto furbo ballava libera. Si aprono le porte, la terza fermata. Uno sciame di persone entrano ed escono di fronte a me, che resto immobile nel mio angolo sicuro mentre Dino mi sorride amorevolmente. Sale un ragazzo con la faccia simpatica ma impunita, segnata dai pensieri e con un bel sorriso fiero, saluta tutti ad alta voce e inizia a rappare in francese stretto su una melodia che fuoriesce dal suo stereo-trolley: la bambina col visetto furbo comincia a zompettare a ritmo di musica, il ragazzo dalla faccia simpatica la incita e la gratifica, la mamma osserva, in silenzio ma attenta. Sorrisi, scambi di complicità. In quel momento spero che il tempo per qualche strano incantesimo si fermi, quel sipario mi appaga, mi fa pensare che non c’è cosa più bella del dare fiducia agli altri, senza pregiudizi, senza paure e remore, lasciarsi trasportare dalla musica del cuore e danzare liberi su ritmi sconosciuti ma che sanno di buono. Le porte si aprono, quarta fermata. La bimba sorride e una monetina scivola nella mano del ragazzo simpatico. Un inchino e una carezza a Parigi. Grazie.
Parigi, int, sera1.
Dopo aver camminato per un numero imprecisato di km, 20 forse, di più e non di meno, finalmente il nostro Hotel, racchiuso in una stradina privata dal tipico sapore parigino. Quando viaggio c’è una cosa della quale non posso fare a meno: sentirmi a casa, coccolata e amata, vivere insomma, quell’atmosfera familiare che mi fa sentire sicura e protetta e, l’hotel Adele e Jules aveva questo profumo, quello della domenica e delle lenzuola che sanno di bucato. Appena varcata la soglia il mio occhio è caduto sul salottino, sui suoi colori caldi e accoglienti che ti invogliano a sederti sui divanetti a sorseggiare the, regalandoti quei minuti di relax prima della notte francese.
Così è stato: the fumante agli agrumi, biscottini e dolcetti tipici, musiche di atmosfera come sottofondo. Sono questi i momenti dove mi viene quella voglia irrefrenabile di scrivere, di catturare attimi attraverso la fotografia, di ascoltare storie e farne tesoro, sono questi i momenti perfetti dove le persone si nutrono della storia di vita degli altri per costruire la propria. Con tutta la calma del mondo siamo saliti poi nella nostra stanza, e cosa trovo sul letto? Una tavoletta di cioccolato con granella di nocciole (di Angelina mica una a caso eh!) come pensierino di benvenuto, regalo più azzeccato per me non poteva esserci! Questo posto già mi ha conquistato! Come se non bastasse abbiamo pensato di concederci un rilassante bagno bollente prima di uscire per la cena, il connubio perfetto!
Grazie Parigi, un inchino e una carezza a te che mi hai fatto conoscere la storia di un posto che ha CURA di chi lo vive, perché per me “trascurare” è sinonimo di “perdere” mentre qui ho TROVATO casa.
Parigi, est, giorno 2.
Il tempo vola ma se tu sei il pilota puoi scegliere a quale velocità andare e io, all’adrenalina ho sempre preferito la melatonina. Gustarmi poche cose profondamente piuttosto che tante perdendone il sapore.Questo é il motivo per cui nel nostro weekend parigino abbiamo preferito non organizzare nulla e andare dove ci portava la curiosità di arte e bellezza. Quale posto migliore di MontMatre? In fondo la mia vita è evoluta a passo di danza, la recitazione ha segnato i miei momenti di crescita, il teatro mi ha visto spettatrice di commedie grottesche e musical commoventi, la musica è vita, i libri compagni di notti insonni; qui ho trovato il mio posto, tra tele raffiguranti nudi femminili, poeti strambi e mulini rossi che trasudano erotismo e sensualità. Se penso ad una possibile Lavinia del passato la immagino qui, magari stella del Moulin Rouge, interprete di drammi interiori e innamorata di un poeta maledetto di nome Dino che compone poesie cantate ispirato dalla mia bellezza.
Ma torniamo alla realtà! Montmatre, che è situata nella parte più alta della città, è da tutti conosciuta come una zona piena di arte, cultura, bistrot e localini di vario genere; non tutti però sanno che in passato questo era il luogo dedito alla coltivazione delle vigne che piano piano andò scemando quando intorno ai primi anni del 900 iniziarono a farsi strada le prime costruzioni edili. Qualche anno dopo, nel 1934, un appezzamento di terra situato fra Rue de Saules e Rued Saint-Vincent venne acquistato e coltivato come vigna da un gruppo di amici contrari al processo di urbanizzazione della zona. Oggi questo pezzo di terra rimane l’unica vigna ancora esistente in tutta la città, un luogo bucolico al centro del caos oserei dire e, i primi di ottobre di ogni anno, proprio qui, si svolge la festa delle vendemmia, evento che unisce cultura e gastronomia.
Le cose si trasformano, cambiano forma e consistenza, ma è l’amore che mettiamo nel realizzarle che le rende eterne.
Passeggiando per queste vie ricche sì di storia, ma anche di bistrot (piccola curiosita’: sembrerebbe che la parola BISTROT non derivi dal francese ma dal russo “bystro” che significa RAPIDAMENTE, infatti durante la durante l’occupazione russa di Parigi, i soldati russi che avevano il divieto di bere alcolici, bevevano di nascosto agli ufficiali dicendo “rapidamente, rapidamente”) ci è venuta fame (che strano!) e in Rue Lepic abbiamo individuato quello che fra tutti ci ispirava di più: la DEGUSTATION, raffinato ed elegante, vasta scelta di vini francesi e con cucina gourmet, sfiziosa e tipica.
Grazie Parigi, le carezze alla pancia non sono mai troppe!
Parigi est, sera 2.
‘Vorrei poterti mostrare, quando sei sola o al buio, la stupefacente luce del tuo essere’.
Sto iniziando a credere sempre di più agli incastri perfetti, agli incontri scritti e alle parole giuste che sanno farsi trovare, soprattutto quando siamo vulnerabili, fragili, quando la nostra vita prende pieghe inaspettate e il nostro cuore è in subbuglio. Quando non credi in tante cose o fatichi a credere in te. Sono certa che queste parole mi stessero aspettando, che volessero essere lette dai miei occhi e ascoltate dal mio cuore, perché il solletico alla pancia non mente MAI. Profumo di pagine ingiallite dal tempo, scale scricchiolanti appoggiate a muri che trasudano storia, bigliettini con pensieri d’amore, di malinconia, appesi alle pareti stanche, desideri indicibili: qui, dove pensare, dove imparare, dove stare insieme rispettando i silenzi degli altri, un posto per chi ha voglia di scoprirsi attraverso racconti, un posto dove il pianoforte suona per mano di chiunque abbia voglia di esprimersi, senza esibizionismi. Il mio pensiero è lì, sospeso, fra una crepa del muro e una ruga del viso. Sicuramente la”Shakespeare & Company” è entrata di diritto a far parte dei miei luoghi del cuore, è uno di quei posti dove venire per prendersi una pausa dalla freneticità di questa città. Ma siccome le cose non sono mai solo quello che sembrano vi svelo una piccola curiosita’: il proprietario George Withman , aveva trasformato nel corso degli anni questa piccola sala da lettura in una vera e propria casa per tanta gente, artisti squattrinati, pittori in cerca di ispirazione, scrittori allo sbando o semplici viaggiatori bisognosi un letto caldo.
Parigi est, giorno 3.
Seppur Parigi in quei giorni fosse completamente in subbuglio per la Paris Fashion Week, noi siamo stati molto fortunati nel riuscire a prenotare in uno degli alberghi piu chic della città: l’Hotel Paris Bastille Boutet, dove abbiamo soggiornato in una camera SPET-TA-CO-LA-RE! Stile minimal, un lettone gigantesco con il piumone più caldo e comodo che abbia mai provato, cabina doccia spaziosissima e ,dulcis in fundo, terrazzino privato con una splendida vista sui tetti parigini. Dopo i km macinati in questi giorni per poter assaporare quanta più bellezza francese, abbiamo deciso di rallentare un pò e così quella che doveva essere una colazione si è trasformata nel pranzo di Natale. D’altronde resistere al pain au chcocolat caldo è una missione impossibile.
Ernest Hemingway diceva “Ci sono solo due posti al mondo dove possiamo vivere felicemente: a casa e a Parigi” io aggiungerei “e Parigi è casa” e questo l’ho potuto toccare con le mie mani in quella stessa mattina, quando verso mezzogiorno abbiamo deciso di vivere la città come una qualsiasi coppia di parigini che esce per andare a fare la spesa e dirigerci verso il Marché Bastille per respirare profumo di baguette appena sfornata. Gente che grida la migliore offerta per le ostriche fresche di giornata, banchi strapieni di oggettini d’epoca, signore con occhiali da sole dalle forme più eccentriche intente a scovare il cappottino retrò più glamour di Parigi, giovani giapponesi che creano composizioni floreali romantiche nel loro angolino verde, una bambina che mangia un lecca lecca concentrico bianco e rosso, anziani con il basco che assaggiano pezzetti di camembert alla ricerca del più genuino. Ecco perchè Parigi è casa. Perchè quella bambina con il lecca lecca, mi ha riportato a 20 anni fa, quando andare al mercato con nonna non mi piaceva e per consolarmi mangiavo i dolcetti che mi avrebbero “guastato l’appetito”, quella stessa bambina che dentro di me è ancora viva e che si nutre della cursiosità e delle passioni della donna che sono oggi.
Una carezza sul mio cuore, grazie Parigi.
Ma Parigi regala anche carezze sullo stomaco e sappiamo tutti che l’italianità va di pari passo col mangiare bene e io in questo non sono seconda a nessuno! Abbiamo deciso cosi di spostarci verso Saint-Germain-des-Près per un pranzetto veloce, nel VI arrondissement, dove un nostro amico italiano cuoco a Parigi ci aveva raccontato di un posto dove mangiare in modo semplice, informale, tipico ed economico e soprattutto buonissimo: L’Avant de Comptoir. Funziona così: non ci sono tavoli ma un bancone d’appoggio dove nell’attesa puoi spizzicare baguette calde con burro salato, i menù sono appesi al soffitto in stile street food e il vino ti fa venire voglia di fare un brindisi ogni cinque minuti, un bacio ogni tre minuti e un ti amo ogni due.
Grazie Parigi, un inchino e una carezza a te che in tre giorni sei riuscita a vanificare la dieta di mesi.
Parigi, est, sera 3
Quando mi capitava di guardare foto di Parigi, una delle cose che mi attraeva di più era l’architettura dei suoi palazzi, sia quella di ispirazione gotica e barocca, sia quella haussmaniana che rivoluzionò completamente il piano urbanistico dell’intera città, dalle strade ai viali, dalle facciate dei palazzi ai monumenti pubblici.
Una della zone, forse l’unica, a non risentire dell’influenza di Haussman, è Le Marais che ha mantenuto il suo stile prerivoluzionario; questo quartiere, che è uno dei più visitati della città, si snoda fra Rue des Rosiers, Vieille du Temple e Pavée e ospita la più importante comunità ebraica della città e infatti, in ogni angolino è possibile trovare specialità tipiche di questa cultura.
Le Marais però é anche il quartiere della moda, delle boutique di alta moda e dei popoup store, negozi temporanei di piccoli stilisti emergenti, e negozietti vintage (ah, che passione!), ed è proprio qui che mi sono concessa un po di sano shopping prima del mio rientro a Roma! Sono sempre stata attratta dalla storia delle cose e penso che gli oggetti portino con sè odori e emozioni di chi li ha vissuti, toccati o, nel caso del cappottino che è stato oggetto di amore indiscusso, indossati. Grazie Parigi, stavolta hai accarezzato il mio portafoglio, tres bien.
Ma si sa, Parigi fa rima con moda e io non potevo tornare nella mia città senza un bottino succulento.
Parigi, ultima alba.
Non ci andava di alzarci dal lettone, cosi abbiamo deciso di fare colazione in camera (naturalmente il mio caro pain au chocolat non poteva mancare). Fuori faceva freddissimo e di lì a poco avrebbe cominciato a nevicare. Un accenno, qualche fiocco avrebbe oggi imbiancato i nostri cappotti scuri. Emozionati da questa idea abbiamo chiuso velocemente i nostri bagagli , fatto check-out, comprato “Le Figaro”, e ci siamo incamminati verso le Sacre Cœur, per andare nel punto più alto della città e sentire quel candore prima di tutti. Ho tolto i guanti per toccare la neve e vedere come quel così freddo di sciogliessenell’impatto con il calore delle dita
Ho cercato a lungo le parole più giuste per raccontarvi quello che si prova da quassù, non le ho mai trovate, perchè non esiste una parola che racchiuda in sè il sentirsi immensamente grandi e immensamente piccoli nello stesso momento. A le Sacre Cœur è cosi, sovrasti il mondo, sei sopra ad ogni cosa ma, allo stesso tempo non puoi fare nulla perché sai che è lui che domina te con la sua bellezza sfacciata.
Parigi, ultimo tramonto.
Ci sono fantastici cliché che emanano charme da tutti i pori, cose viste tante volte nei film, nelle foto, raccontate nei libri che, nonostante tutto, emozionano ancora e ancora. Sognavo da sempre questo momento: un tramonto timido che si affaccia lentamente, la Senna che trafigge in due la città, io e te frastornati dall’amore e dal suono di una giostra che sceglie di non farmi paura, il freddo che pizzica la faccia, una lacrima incastrata nella parte bassa dell’occhio fatica a scendere, un abbraccio che è tutto, la nostra Tour Eiffel, che per me sarà sempre viola. Niente di più. Grazie amore mio.
Arrivederci Parigi.
Stop. Buona la prima.
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